La malattia economica dell’Italia è un prodotto della sua malattia politica

L’Ocse stima una crescita zero per il 2019 e una lieve ripresa per il 2020 (0,6). Per l’eurozona la crescita è stimata all’1,2, quella globale al 3,2. Per il 2019 l’Istat stima invece una crescita dello 0,3% (dovuta ai consumi interni, con la domanda estera al palo) ma un crollo degli indici di fiducia.

La fotografia dell’Italia rimane quella della grande malata d’Europa. Ultima per crescita e ultima anche per investimenti (è l’unico paese dell’Ue in cui in Europa saranno negativi: -0,3%), con un bilancio pubblico che secondo la Commissione europea avrà un deficit del 2,5% nel 2019 e 3,5% nel 2020 (se non sarà aumentata l’Iva o non si troveranno misure alternative di correzione dei conti pubblici sul piano delle entrate e delle spese). Per il debito si stima un livello del 133,7% nel 2019 e 135,2% nel 2020.

Per completezza di informazione, è appena il caso di ricordare che l’Italia è il solo paese dell’eurozona con la Grecia e il Portogallo ad avere avuto dal 2007-2017 un tasso di crescita negativo (rispettivamente – 0,1 il Portogallo, -2,9 la Grecia e -0,6 l’Italia), ma mentre ad Atene e Lisbona negli ultimi anni hanno ripreso a crescere, noi siamo fermi al palo.

Da molti punti di vista, la malattia dell’economia italiana è un prodotto della sua malattia politica, quella di una democrazia di scambio in cui attraverso regolazione e scelte di bilancio si comprano i voti degli elettori garantendo rendite personali e collettive, deprimendo l’iniziativa economica e diseducando alla responsabilità fiscale. Il successo sovranista è il prodotto di questa cultura politica assai diffusa anche negli anni della competizione bipolare, che oggi offre i suoi frutti più velenosi.

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