
FCA-Renault. Prova pratica di nazionalismo economico anti-europeo
L’accordo tra FCA e Renault pare al momento sfumato e la ragione, al di là delle difficoltà che una fusione del genere, ulteriormente complicata dalla partnership di Renault con Nissan, comporta sul piano industriale e finanziario, sembra essere prettamente politica.
Non è stato un (tentativo di) accordo tra due gruppi che negoziavano la costruzione del terzo produttore di automobili al mondo, ma tra tre soggetti – FCA, Renault e la Repubblica Francese – con interessi oggettivamente diversi: in un caso, di sviluppo, nell’altro caso, in primo luogo, di consenso.
Le garanzie richieste sulla tutela dei siti produttivi, sui dividendi per gli azionisti Renault e sulla presenza nel futuro Cda di un rappresentante dello Stato francese, più che esigenze di un’azionista del 15% circa di Renault, sono pretese da “governo di riferimento” di un’operazione industriale che, coinvolgendo due gruppi internazionali con molti stabilimenti e ampi mercati in Europa, tutto poteva considerarsi fuorché unicamente francese.
Non c’è ovviamente da stupirsi dell’atteggiamento del governo di Parigi, in linea con una lunga tradizione interventista e nazionalista. Ma è il caso di notare che la costruzione di un grande gruppo automobilistico europeo rischia oggi di essere vanificato da uno dei Paesi fondatori dell’Europa politica ed economica. Parigi – che ha un presidente retoricamente supereuropeista – ha riportato i confini interni dell’Ue anche nelle trattative tra gruppi in cui la partecipazione pubblica francese risulta ampiamente minoritaria.
Peraltro c’è da dire che il governo italiano non è stato della partita non solo perché privo di partecipazioni azionarie in FCA, ma perché privo di qualunque argomento opponibile al governo francese, che ha fatto su Renault tutto ciò che Salvini e Di Maio dicono vada fatto sul patrimonio industriale nazionale.
Il nazionalismo economico si dimostra, anche in questo caso, una mera maschera di scena. Ci sono pochi dubbi sul fatto che il nuovo gruppo, se fosse riuscito a decollare, avrebbe beneficiato l’economia europea e quella degli stati membri coinvolti molto più dello stop all’operazione provocato dalle impuntature dell’Eliseo. Ma Macron è l’ennesimo leader che guarda alle prossime elezioni, più che alle prossime generazioni di francesi e europei.