Le dimissioni di May dimostrano che sull’Europa tertium non datur

Le annunciate dimissioni del primo ministro inglese, Angela May, non sono la sconfitta personale di una politica che ha pensato di “gestire” la Brexit come una pratica rognosa, in cui occorreva tenere al riparo la razionalità dei negoziati dall’isteria politica delle piazze, ma senza contraddirla e senza sfidarla e al contrario rendendo ad essa un perenne e indulgente ossequio.

Con le sue dimissioni è uscita smentita l’idea che si potesse fare una mezza Brexit o tre quarti di Brexit in nome della Brexit, che non è solo una scelta istituzionale, ma una fotografia spirituale e “antropologica” del Regno Unito di oggi e delle sue frustrazioni. Qualunque contestualizzazione della Brexit, qualunque adattamento, qualunque accordo su di essa già ne smentisce il significato politico.

Molti paesi europei e l’Italia tra questi hanno dinanzi un’alternativa analoga (anche se non c’è sul piano un’Italexit formale) e il voto del 26 darà la misura degli schieramenti in campo. I numeri, complessivamente, rischiano di essere simili a quelli britannici e quindi i peggiori, non solo per l’Italia ma per l’Europa.

Che l’Europa si possa salvare con “meno Europa” e rendendo ancora più astratte, irrilevanti e lontane le stanze del potere e del processo politico europeo rispetto ai cittadini degli stati membri è una contraddizione in termini. Che si possa ripristinare un clima di fiducia e di speranza verso l’Ue lavorando alla parziale e programmata “disintegrazione” delle sue istituzioni è assolutamente impossibile.

Questa guerra, che non si concluderà certo il 26 maggio, ma in cui l’Italia rischia di stare dal lato sbagliato, è tra chi vuole l’Europa e chi non la vuole, tra chi vuole difendere le regole e i diritti fondamentali di una vera cittadinanza europea e chi vuole che l’Europa torni una mera espressione geografica. Tertium non datur.

Condividi